MARCIDO MARCIDORJS  E FAMOSA MIMOSA

HAPPY DAYS IN MARCIDO'S FIELD

 

con MARIA LUISA ABATE

e la Signorina Ludmilla (quelque fois, esausta l'Abate, Lady Winnie)

Fondano, instaurano e costituiscono la materialità fisica dello spazio scenico, saranno quindi essi palco, quinta, praticabili; saranno il sipario e i siparietti, il fondale e l'arlecchino, tiri luci cielo e neri, tutti questi quanti attori:

La Signorina Ludmilla, Lai Marzia, Nuova Simona Rosso, Matteo Lantero, Arcangela, Bruna Gherner, Simone Salvemini

Sovraintendenza tecnico/logistica di Sabina Abate

Scene e costumi di Daniela Dal Cin

Direzione di Marco Isidori

 

L'ultimo spettacolo dei Marcido è un frenetico corpo a corpo tra la scrittura beckettiana, ed un'oralità ipersignificante, con le virtù della quale, si tenterà di tradurre il testo non soltanto in dramma, bensì anche nella musica delle orecchie di Dionisio, risultato: HAPPY DAYS IN MARCIDO'S FIELD, ovvero la scommessa di costruire con le parole del poeta irlandese, un momento di teatro realmente sulfureo, il desiderio d'imbastire un'azione scenica che restituisca all'Arte della recitazione la sua capacità "politica" d'esprimere una diversità, e di esprimerla in modo maiuscolo proprio attraverso la "nuda" elementarietà dei mezzi usati per darne dimostrazione. Winnie è letteralmente affogata in una montagna di carne viva (il "Grande Girello - ideato da Daniela Dal Cin), sta prigioniera in una bolgia corporale di cui lei stessa, in un certo senso, governa le maree corografiche; e come ciascuno di noi sa che si può governare soltanto la propria galera, anche Winnie, la nostra particolarissima Winnie, vive la sua condizione con qualche nonchalanche ironica e con un certo decoro "tragico", perfino regale, quale assurdo segnale di una disgregazione ormai tutta competata, una "via crucis" quasi collaudata e fissata nella classicità già canonica dell'anomalia che la sua figurazione scenica ci propone. Willie è decuplicato. Willie è il mucchio di carne stesso dalla cui mostruosa, vulcanica "bocca" Winnie lancerà le note della sua terribile canzone. Willie è il "Coro" che reciterà, amplificandolo, il delirio fonico della protagonista, e soprattutto è un "Coro" danzante: balla la parte della montagna che costringe e soffoca la nostra eroina, questo appunto perchè il Teatro dei Marcido (vogliamo ribadire che mai ci interessò rappresentar commedie, ma ci piacque, invece, sempre elaborar perbene il pensiero di un Teatro Nuovo!) vuole fortissimamente compromettersi con la totalità dell'espressione spettacolare, sospettando, forse, che il solo codice drammatico sia divenuto inefficace per portare alla luce quelle contraddizioni che ogni Grande Arte dovrebbe far emergere dalle fibre della sua struttura compositiva, per qualificarsi tale. Ed in ciò, Beckett è stato maestro. Allora quella dei Marcido, non è e non potrà essere un'altra delle consuete edizioni di "Giorni felici"; ma quest'ultima "folle prova" della compagnia, è destinata a seguire, come sempre d'altronde, il sentiero di una completa digestione del testo beckettiano dentro all'organismo della sua più forte coerenza autoreferenziale; che altre modalità di far Scena, anche intelligenti, anche puntualissime, anche rivoluzionarie, haimè!, ci sono costituzionalmente sconosciute.

Due parole, infine, sulla performance attorale che impegna Maria Luisa Abate come interprete di Winnie, una prestazione resa di sottile, diabolica difficoltà, per il carico di "informazioni" che la regia affida alla voce dell'attrice, in una durissima prova di forza rivolta in primo luogo contro il limite personale dell'interprete stessa, che solo questo tale confine toccando, tocca, per noi, e suona a meraviglia, le corde della necessità.

Marco Isidori