Atto libero
 
Conversazione sull'esperienza della libertà
     
Rocco Ronchi
 
Federico Leoni
 
Andrea Potestà
 
La libertà è una qualità dell'azione. Per questo ogni tentativo di definirla a priori è destinato al naufragio. La libertà non è qualcosa che discenda con geometrica necessità da premesse che possono essere poste una volta per tutte.
 
L'illusione del liberalismo, costantemente smentita dalla storia ma sempre risorta, era che bastassero delle libere istituzioni perché la libertà fosse reale.
 
Così non è andata nel recente passato e così non va nemmeno oggi. Una libera informazione, ad esempio, non è una informazione libera. La posizione dell'aggettivo – prima o dopo il sostantivo – in questo caso è fondamentale. Basta accendere la televisione per rendersi conto che c'è libera informazione ma non un'informazione libera.
 
Le libere istituzioni sono una condizione forse necessaria, ma certo non sufficiente perché la libertà abbia luogo. Da Platone a Fichte, dalla mistica speculativa a Bergson, molti filosofi hanno invece insistito sul carattere squisitamente qualitativo dell'atto veramente libero. La libertà, per loro, non è mai un fatto acquisito. Piuttosto si aggiunge come un predicato, come una sfumatura impalpabile ad un comportamento, il quale, se fosse lasciato alla sua inerzia, risponderebbe alle sole leggi del più ferreo determinismo. Lo stato di natura dell'uomo è quello gregario, la libertà vi fa eccezione. Non c'è libertà come stato, c'è piuttosto un divenire liberi, ci sono eventi di libertà. È, questa, una “difficile libertà”, che va quotidianamente conquistata e praticata, una libertà minoritaria e sempre votata al fallimento (come può, infatti, “permanere”?). È, tuttavia, la nostra sola (effimera) occasione di vera libertà.
 

testi scelti dai relatori

Il pensiero libero della libertà. Conservare libero uno spazio per la libertà potrebbe significare: guardarsi dal comprendere la libertà, per guardarsi dal rischio di distruggerla, imprigionandola nell'inevitabile gabbia di definizioni e restrizioni dettate dalla comprensione. Per questo, pensando l'incomprensibilità o l'impresentabilità della libertà, si può avere l'impressione, non soltanto di assecondare un limite intrinseco alle possibilità del pensiero, ma anche di rispettare e preservare, attivamente, un dominio libero della libertà. Un'impressione simile sorge soprattutto quando proviamo a calarci in una metafisica della libertà, spesso esposta al rischio di «comprendere» surrettiziamente la libertà – prima ancora, in un certo senso, di toccarla – dandole residenza stabile in un sapere e anzitutto in un sapere-di-sé della libertà connotata in senso soggettivo (Jean-Luc Nancy, Esperienza della libertà, Einaudi, Torino 2000, p. 47).

 

“Di tale specie è quell'insieme di sentimenti e di idee che ci provengono da un'educazione mal compresa, quell'educazione che si rivolge alla memoria piuttosto che al giudizio.In questo modo nel seno stesso dell'io fondamentale, si forma un io parassita che sconfinerà continuamente nell'altro. Sono molti quelli che vivono così, e che muoiono senza aver conosciuto la vera libertà” (H.Bergson, Saggio su dati immediati della coscienza, Raffaello Cortina, Milano 2002, p. 107)

Guardate gli uccelli del cielo; non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il vostro padre celeste li nutre. Or, non valete voi più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi può aggiungere alla durata della sua vita un solo cubito? E perché darsi tanta pena per il vestito? Guardate come crescono i gigli del campo: non lavorano, né filano, eppure vi assicuro che nemmeno Salomone, in tutta la sua gloria, non fu mai vestito come uno di essi. Or se Dio riveste così l'erba del campo, che oggi è e domani viene gettata nel forno, quanto più vestirà voi, gente di poca fede? Non vogliate dunque angustiarvi dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Di che ci vestiremo?”. Di tutte queste cose si danno premura i Pagani; ora il padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutto questo” (Marco, 6-26)

 

Federico Leoni

(Novara 1974) svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di filosofia dell'Università di Milano. Ha tradotto dal francese e dal tedesco, ed è autore di tre libri: Follia come scrittura di mondo (Jaca Book 2001), L'inappropriabile. Figure del limite in Kant (Mimesis
2004), Senso e crisi. Del corpo, del mondo, del ritmo (ETS 2005).

 

Andrea Potestà

(Milano 1975) ha studiato a Milano e a Parma, conseguendo il titolo di dottore di ricerca in filosofia. È autore di un volume su Kant (La “pragmatica di Kant”. Saperi al confine tra antropologia e criticismo, Franco Angeli, Milano 2004) e di studi su Martin Heidegger e Jean-Luc Nancy. Attualmente è insegnante di filosofia a Strasburgo e collabora con il “Parlement-des-philosophes”.

 

Rocco Ronchi

insegna Filosofia teoretica all'Università degli Studi dell'Aquila e Linguaggi e tecnologie all'Università L.Bocconi di Milano. È autore di vari studi sulk pensiero francese contemporaneo. Recentemente ci è occupato dello statuto della comunicazione. Il suo ultimo libro è Teoria critica della comunicazione (B.Mondadori 2003). Di prossima pubblicazione: liberopensiero. Un lessico filosofico per sette anni di cronaca (Fandango)

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